A dieci anni dall’approvazione della legge 10 dedicata alle cure sanitarie e socio-sanitarie a domicilio per malati e persone con disabilità non autosufficienti, nessuna delle amministrazioni della Regione Piemonte che si sono alternate da quell’anno a oggi ha mai approvato il regolamento attuativo della legge stessa, le regole, cioè, che avrebbero permesso alle Asl e agli altri Enti coinvolti di erogare le dovute prestazioni come previsto dal testo della norma

Mauro Perino, vicepresidente della Fondazione promozione sociale, è stato direttore del Cisap Consorzio socio-assistenziale di Collegno-Grugliasco (Cisap) dal 1995 al 2018.
A dieci anni dall’approvazione della legge 10 dedicata alle cure sanitarie e socio-sanitarie a domicilio per malati e persone con disabilità non autosufficienti, nessuna delle amministrazioni della Regione Piemonte che si sono alternate da quell’anno a oggi ha mai approvato il regolamento attuativo della legge stessa, le regole, cioè, che avrebbero permesso alle Asl e agli altri Enti coinvolti di erogare le dovute prestazioni come previsto dal testo della norma. Le cure domiciliari per persone non autosufficienti (anziani malati/persone con grave disabilità) hanno continuato a poter funzionare in Regione grazie alle delibere della Giunta regionale – le numero 39/2009 e 56/2010 mai abrogate – ma la loro concreta erogazione è stata seriamente minata dai provvedimenti delle giunte di centrodestra (Presidente Roberto Cota, 2010-2014) e centrosinistra (Sergio Chiamparino, 2014-2019) che hanno affossato il sistema delle cure domiciliari con provvedimenti, difesi di fronte all’Autorità giudiziaria anche quando ne era stato riconosciuto il carattere illegittimo, che hanno sottratto diritti esigibili agli utenti, impoverito migliaia di famiglie, negato le cure ai soggetti più deboli fra i malati. Non è un’esagerazione dire che su questo fronte l’azione della Regione ha spianato la strada alla discriminazione e all’esclusione sociale. La proposta di legge di istituzione del Fondo socio-sanitario regionale (una bozza della primavera del 2018 mai giunta alla discussione istituzionale, ma ben presente nei cassetti e nei progetti degli assessorati alla sanità e all’assistenza) aveva messo nero su bianco l’abrogazione della legge 10.
Ripercorrere le deliberazioni della Regione che tracciarono la lunga strada verso l’approvazione di quella legge, oltre che necessario lavoro di memoria e di tutela del patrimonio normativo a difesa dei più deboli, può servire a rilanciare l’approvazione immediata del regolamento e la sua definitiva applicazione.
Cronologia
- Al termine di un articolato tavolo di confronto – il cosiddetto Tavolo Lea al quale parteciparono ANCI Piemonte, Lega delle Autonomie locali, Consulta Piccoli Comuni, UPP, UNCEM, FEDERSANITA’ ANCI Piemonte, CGIL, CISL, UIL, FENASCO, Coordinamento Case Alloggio HIV, Comitato Promotore della petizione popolare e aderenti al FORUM del Volontariato e del Terzo Settore – la Giunta regionale (presidenza Ghigo) approva la deliberazione 23 dicembre 2003 n.51-11389: “DPCM 29 novembre 2001, allegato 1, Punto 1.C. Applicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza [di seguito, Lea] all’area dell’integrazione socio-sanitaria” che contiene, tra l’altro, gli indirizzi e le linee guida per “L’Articolazione delle Cure Domiciliari nella fase di lungo assistenza”. L’applicazione degli indirizzi dà luogo a diverse sperimentazioni territoriali. In molti ambiti le Asl e gli Enti gestori prevedono l’erogazione di assegni di cura finalizzati a sostenere la spesa per la regolare assunzione di un assistente familiare con suddivisione della spesa al 50 per cento tra sanità ed utente/Ente gestore.
- L’articolo 1, comma 1264 della legge 27 dicembre 2006 n. 296 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (Legge finanziaria 2007) dispone che, al fine di garantire l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali su tutto il territorio nazionale con riguardo alle persone non autosufficienti, viene istituito presso il Ministero della Solidarietà sociale il “Fondo per le non autosufficienze” destinato a finanziare le spese che i Lea socio sanitari pongono a carico dei Comuni.
È un passaggio importante: il decreto del 29 novembre 2001 sui Lea (reso legge con l’articolo 54 della legge 289/2002) prevede infatti che le prestazioni socio-sanitarie siano a carico del Servizio sanitario nazionale con una percentuale che varia – a seconda del tipo di servizio erogato – dal 40 al 70% del costo totale della prestazione. La parte restante deve essere sostenuta dall’utente e, nel caso la sua situazione economica personale sia insufficiente nel dpcm viene stabilito che deve intervenire l’ente gestore dei Servizi socio-assistenziali. Si tratta di oneri importanti per i Comuni.
Purtroppo negli anni lo scopo originario del Fondo è stato stravolto, in alcuni anni neppure finanziato e, spesso utilizzato come risorsa sostitutiva (e non aggiuntiva) a quelle che devono obbligatoriamente essere stanziate dal Servizio sanitario nazionale come sopra precisato.
- Con decreto del Ministro della Solidarietà sociale, in data 12 ottobre 2007, vengono attribuite le risorse del Fondo alle Regioni relative all’anno 2007. Al Piemonte spettano 7 milioni 797.985,90 euro.
- Con la delibera di Giunta regionale n.55-9323 del 28 luglio 2008 “Definizione delle modalità e dei criteri dell’utilizzo da parte delle Aziende sanitarie locali e dei Soggetti Gestori delle funzioni socio assistenziali, delle risorse assegnate a livello nazionale, al ‘Fondo per le non autosufficienze’ per l’anno 2007 ed attribuite alla Regione Piemonte” la somma di 7 milioni 797.985,90 euro viene destinata per l’attivazione in ogni Distretto sanitario di uno Sportello unico Socio-sanitario come punto unico di accesso agli interventi socio-sanitari. I progetti di attivazione devono essere definiti mediante “Protocolli di intesa” fra le Asl e gli Enti gestori socio assistenziali nell’ambito dei quali viene individuato, tra i due soggetti istituzionali, l’ente capofila preposto alla gestione delle risorse.
Oltre ai protocolli tra Asl e Enti gestori dei servizi socio-assistenziali viene stipulato anche un «contratto di cura» o progetto assistenziale individualizzato con l’accuditore che volontariamente si rende disponibile e assume la responsabilità del percorso di cura domiciliare per il mantenimento del proprio congiunto malato cronico non autosufficiente. A titolo di esempio rinviamo all’articolo “Impegni sottoscritti dall’Asl To3 e dal Cisap con il figlio per la cura a domicilio della madre non autosufficiente”, pubblicato su questa rivista nel numero 169, 2010.
- Con l’approvazione della deliberazione della Giunta regionale 6 aprile 2009, n.39-11190: “Riordino delle prestazioni di assistenza tutelare socio-sanitaria ed istituzione del contributo economico a sostegno della domiciliarità per la lungo assistenza di anziani non autosufficienti. Estensione dei criteri per la compartecipazione al costo delle prestazioni di natura domiciliare di cui alla Dgr. n.37-6500 del 23.7.2007” si intende ricondurre ad unico regime la moltitudine di sperimentazioni avviate con la già citata delibera di Giunta regionale 23 dicembre 2003 n.51-11389.
Vengono definiti, su base regionale, i tetti massimi di spesa per Piano assistenziale individualizzato [di seguito, Pai] con riferimento ai diversi livelli assistenziali (da 800 euro mensili per una bassa intensità assistenziale, fino a 1.640 euro mensili per una intensità assistenziale medio alta se il beneficiario è senza rete familiare). Nell’ambito della predisposizione del Pai viene data la possibilità alla competente Unità di valutazione distrettuale di stabilire (nel rispetto dei suddetti massimali regionali) l’entità del contributo economico finalizzato al sostegno della spesa per l’assistenza tutelare domiciliare, che viene sempre assunta per il 50 per cento dalla sanità mentre il restante 50 per cento è posto a carico dell’utente/Ente gestore socio-assistenziale. Si prevede inoltre che le prestazioni, indicate dalle deliberazioni regionali (assistenza domiciliare erogata attraverso operatori socio-sanitari (Oss.) e/o assistenti familiari (badanti); prestazioni svolte da familiari o affidatari con la supervisione del personale Asl o del medico di medicina generale; telesoccorso e pasti a domicilio), possano essere erogate congiuntamente sino al valore economico massimo previsto dal Pai. L’Operatore socio-sanitario – Oss o l’assistente familiare possono essere assunti direttamente, con regolare contratto, dal beneficiario del contributo economico, valorizzato in base alle esigenze assistenziali, oppure l’assistenza può essere richiesta ai fornitori accreditati da Asl ed Enti gestori. Nel caso in cui il Pai preveda le attività di un familiare con disponibilità di tempo e la cui idoneità sia stata preventivamente valutata dalla competente commissione Asl, è prevista l’erogazione a suo favore di un contributo economico (sempre ripartito con la sanità) a titolo di rimborso spese (da 200 euro mensili per una bassa intensità assistenziale, fino a 400 euro mensili per una intensità assistenziale medio alta). Nello stesso modo si procede nei confronti di un affidatario (200 euro mensili) che, se assume su di sé anche i compiti di caregiver, può contare su un rimborso spese maggiorato (da 400 euro mensili per una bassa intensità assistenziale, fino a 600 euro mensili per una intensità assistenziale medio alta). Al finanziamento degli interventi previsti dalla delibera di Giunta regionale vengono destinate le risorse del “Fondo per le non autosufficienze “degli anni 2008 e 2009 per complessivi 21 milioni 513.967,74 euro. I fondi vengono erogati all’ente capofila individuato negli accordi da stipulare tra Asl ed Ente gestore dei servizi socio-assistenziali. Accordi che devono «confermare che, per le prestazioni socio-sanitarie di assistenza tutelare da erogare, l’Asl (componente sanitaria) assume a proprio carico il 50% del costo, mentre il restante 50% (componente sociale) è a carico dell’Utente/ente gestore delle funzioni socio-assistenziali». - Con la successiva deliberazione della Giunta regionale 15 febbraio 2010 n.56-13332: “Assegnazione delle risorse a sostegno della domiciliarità per non autosufficienze in lungo assistenza a favore di anziani e persone con disabilità con età inferiore a 65 anni. Modifiche ed integrazioni alla DGR 39-1190 del 6 aprile 2009” gli interventi previsti dalla Delibera di Giunta regionale 39/2009 vengono estesi alle persone con disabilità e con limitata autonomia o con disabilità conseguenti a patologie e non autosufficienti. Viene infine approvata la legge regionale 18 febbraio 2010, n.10 “Servizi domiciliari per persone non autosufficienti” che fa proprio l’impianto del sistema avviato con le sopra citate deliberazioni. Con essa la Regione Piemonte definisce puntualmente le prestazioni domiciliari per «le persone in varie condizioni o età che soffrono di una perdita permanente, parziale o totale, dell’autonomia fisica, psichica o sensoriale con la conseguente incapacità di compiere atti essenziali della vita quotidiana senza l’aiuto rilevante di altre persone». Viene inoltre prevista, come figura professionale specifica, l’assistente familiare per la quale viene indicato uno specifico percorso formativo regionale finalizzato a valorizzarne il profilo. Purtroppo la legge (approvata all’unanimità dal Consiglio regionale al termine della legislatura Bresso), che avrebbe dovuto consentire di condurre a regime una sperimentazione pluriennale che ha dato risultati ampiamente positivi, anche in termini di gradimento da parte delle persone prese in carico, non è stata implementata, dalle amministrazioni regionali successive (la prima a presidenza Cota nel 2010 alla quale è subentrata, nel 2014, quella a presidenza Chiamparino). Per questa ragione di tutti gli interventi domiciliari, originariamente attivati in applicazione delle delibere di Giunta regionale 39/2009 e 56/2010, restano attualmente in essere, ma con sempre maggiore fatica, solamente quelli del Comune di Torino e dei pochi altri ambiti territoriali della prima cintura metropolitana che sono riusciti ad impedire che le Asl (con il placet della Regione) si sganciassero completamente dalla contribuzione al pagamento degli assegni di cura. Questa è la ragione della «sperequazione» nell’utilizzo delle risorse regionali per le prestazioni domiciliari tra la Città di Torino ed il resto del Piemonte. Segue un elenco cronologico dei fatti avvenuti.
- La Giunta regionale guidata da Roberto Cota (Lega) approva numerosi atti. In particolare con la delibera 26/2013 viene previsto che a decorrere dal 1°gennaio 2014 le Asl non possano più sostenere le spese per le prestazioni domiciliari previste dai Lea socio-sanitari. In pratica gli assegni di cura a favore delle persone malate e/o con disabilità non autosufficienti e poste a carico della spesa sanitaria per il 50 per cento del costo della prestazione domiciliare vengono riclassificati come “extra lea”, riconoscendo in modo arbitrario come prestazione Lea solo quella resa da operatore socio sanitario (Oss), erogato dall’Asl). Con ciò spostando, dal 1° gennaio 2014, le risorse destinate agli assegni di cura fino a quel momento garantite in quota parte dal settore sanitario, al comparto socio assistenziale, che opera non secondo principi universalistici, ma attuando una selezione – su base economico sociale – dei richiedenti.
- Contro le sopra citate deliberazioni vengono presentati tre ricorsi al Tar del Piemonte da parte del Comune di Torino; da parte di numerosi enti titolari delle funzioni socio assistenziali associati (Comune di Nichelino, Consorzio Cisa 12, Comune di Cuneo, Comune di Collegno, Comune di Grugliasco, Comune di Pinerolo, Unione dei Comuni Nord Est di Torino, Unione dei Comuni di Moncalieri, Trofarello e La Loggia, Consorzio servizi In.re.te, Consorzio Cidis, Consorzio intercomunale socio assistenziale Rivoli, Rosta e Villarbasse, Consorzio socio assistenziale di Pianezza, Consorzio Cisa-Asti sud, Consorzio “Valle Susa”, Consorzio Ovest Ticino, Consorzio Caluso, Consorzio intercomunale dei servizi socio -assistenziali – Unione dei Comuni del Ciriacese e del Basso Canavese, Consorzio Pinerolo, Consorzio Monviso solidale, Consorzio del Cuneese, Consorzio delle valli Grana e Maira, Consorzio Cisas, Consorzio Ciss Ossola, Comunità Montana Alpi del Mare, Consorzio del Chierese, Consorzio Cisas, Comunità Montana Alto Cebano Monregalese); da parte di “Associazione promozione sociale”, Utim (Unione per la tutela delle persone con disabilità intellettiva), Ulces (Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale), G.v.a. (Gruppo volontari assistenza handicappati), Angsa (Associazione nazionale genitori soggetti autistici, sezione di Torino).
- Il TAR Piemonte con sentenze n. 154/2015, n. 156/2015 e n.157/2015 relative ai tre ricorsi presentati accoglie quanto sollevato dal Comune di Torino, dalle Associazioni di rappresentanza degli utenti e dagli altri Comuni e Consorzi socio-assistenziali «con conseguente annullamento degli atti impugnati nella parte in cui, nel qualificare come “extra LEA” le prestazioni non professionali di assistenza tutelare alla persona, hanno stabilito il venir meno delle provvidenze in precedenza garantite ai sensi della normativa sui LEA». La Regione Piemonte si appella al Consiglio di Stato che in data 7 dicembre 2015 accoglie l’appello contro la sentenza del Tar Piemonte n. 156/205 (quella delle associazioni, mentre nulla viene formalizzato con riferimento alle altre due sentenze). Va dunque ricordato che restano pienamente valide le sentenze del Tar Piemonte 154/2015 (Torino) e 157/205 (Comuni e Consorzi). Torino opera infatti attualmente in forza della propria sentenza non riformata, mentre la gran parte degli altri Enti gestori piemontesi hanno rinunciato a richiedere alla Regione l’applicazione della propria sentenza favorevole, allineandosi egli esiti dell’unica sentenza sfavorevole diretta alle associazioni di rappresentanza degli utenti (la 156/2015) che fa costantemente riferimento al Piano di rientro della regione a causa del deficit in sanità come presunta motivazione per non confermare gli assegni di cura «modello Torino».
Conclusioni. Occorre ricordare che il Piano di rientro è concluso e che quindi l’argomentazione addotta dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5538/2015, può essere considerata superata.
Inoltre è un dato oggettivo riconosciuto che la garanzia della presa in carico da parte dell’Asl e del medico di medicina generale del malato cronico/persona con disabilità non autosufficiente e il riconoscimento di un contributo forfettario a sostegno dei maggiori oneri a cui si deve fare fronte, contribuisce a migliorare la vita delle persone non autosufficienti, riduce il ricorso al Pronto Soccorso degli ospedali e quindi di successivi ricoveri in lungodegenza, conviene rispetto al costo di una quota sanitaria in Rsa. Pertanto appare appena logico chiedere alle Regioni (altre che al Piemonte) l’approvazione di provvedimenti regionali che assicurino la presa in carico dell’Azienda sanitaria, l’erogazione delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie previste dall’Adi (assistenza domiciliare integrata) nonché la previsione di un contributo forfettario equivalente ad almeno il 50% della quota sanitaria a cui lo stesso malato e/o persona con disabilità avrebbe diritto in caso di ricovero e al quale rinunciano i suoi parenti/rappresentanti, in cambio di prestazioni domiciliari.
Le Regioni, attraverso la conferenza Stato-Regioni, possono ottenere altresì la modifica dell’articolo 22 del dpcm 12 gennaio 2017 per introdurre, sempre a carico del Servizio sanitario nazionale, la copertura del costo in misura del 50% del totale, sostenuto per garantire 24 ore su 24 le prestazioni indifferibili, benché non professionali, indispensabili per la permanenza a domicilio in alternativa al ricovero.
Molto si può fare subito se la politica sceglie di tutelare il diritto dei malati pur con un utilizzo appropriato delle risorse sanitarie.
Infine, l’Unione europea nella comunicazione agli Stati membri del 7 giugno 2019 avente per oggetto “Petizione n. 1147/2016, presentata da M.G.B., cittadina italiana, a nome della “Fondazione Promozione Sociale”, sull’assistenza sanitaria e le prestazioni sociali per le persone a carico (le persone malate e anziane, con difficoltà di apprendimento, autismo ecc.)”, rammenta che «Gli Stati membri hanno inoltre la possibilità di sfruttare i Fondi strutturali e d’investimento europei, in particolare il Fondo sociale europeo e il Fondo europeo di sviluppo regionale, al fine di migliorare la loro erogazione di assistenza sanitaria e assistenza a lungo termine».