Nel peana generalizzato sull’ Eurovision song contest ospitato a Torino in questi giorni, ci pare opportuno levare una voce critica rispetto non alle spese dell’evento in sé – non abbiamo gli strumenti per giudicare – ma alla proporzione di queste rispetto ad un altro capitolo di bilancio del Comune di Torino, illegalmente sacrificato: quello delle spese per l’integrazione delle rette delle persone con disabilità o malate croniche non autosufficienti ricoverate nelle strutture Rsa o in comunità alloggio.

Dieci volte. Secondo notizie di stampa, l’evento che ha visto arrivare in città ed esibirsi i cantanti europei è costato alle casse comunali 15 milioni di euro. Una cifra che l’amministrazione ha dovuto sborsare in poche settimane a fronte di promesse, ipotetiche, paventate risorse in entrata da sponsor (che gli osservatori qualificati dell’evento giudicano largamente insufficienti a coprire le spese) o, in maniera molto indiretta, di un ritorno economico sulla città completamente a favore dei privati e non dell’ente pubblico.
Applicare alle persone con disabilità e ai malati non autosufficienti ricoverati nelle strutture l’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) definito dalla normativa nazionale vigente, in vigore dal 2014, costerebbe alla Città 1,5 milioni di euro (dichiarazione pubblica dell’Assessore competente), 10 volte meno delle spese affrontate per pochi giorni di evento musicale.
Le regole del Comune. A Torino, alle persone con disabilità ricoverate nelle strutture viene oggi imposto di contribuire al pagamento delle stesse con la totalità della loro pensione di invalidità e la totalità della loro indennità di accompagnamento, fatti salvi 120/150 euro mensili destinati alle spese personali. Così il regolamento comunale, nonostante indennità e pensione siano esplicitamente non conteggiabili per la valutazione economica della persona (cosiddetta condizione di “Isee Zero”).
Ai ricoverati nelle Rsa viene invece fatta la “colpa” della casa. Sempre secondo l’incriminato regolamento comunale, chi ha il possesso di un alloggio a Torino è fortemente penalizzato rispetto alla normativa nazionale. Se l’immobile ha un valore catastale superiore ai 52.500 euro, cifra bassissima sopra la quale stanno praticamente tutte le proprietà immobiliari abitative della città, il proprietario non riceve alcuna integrazione della retta alberghiera. La regola è, ancora una volta, illegittima: la normativa nazionale prevede che oltre la franchigia di 52.500 euro l’immobile non sia ostativo alla concessione del contributo, ma faccia crescere l’Isee del richiedente di un valore pari al 20% dei due terzi di quanto eccede la franchigia.
Nel caso di un alloggio da 70mila euro di valore catastale, per il Comune di Torino il proprietario è escluso da qualsiasi contributo; per l’Isee nazionale, la sua situazione economica patrimoniale si incrementa di circa 2.300 euro all’anno, senza perdere il diritto all’integrazione economica. Tra l’altro, le regole penalizzanti e discriminatorie torinesi si applicano anche se all’interno dell’immobile vive ancora il coniuge del richiedente, o un familiare, per esempio il figlio o la figlia della persona ricoverata, che utilizza la casa a titolo gratuito avendola in usufrutto.
Isee Zero. Per considerare correttamente tutte le persone con disabilità ricoverate in struttura con “Isee Zero”, cioè per azzerare la loro compartecipazione economica, il Comune ha stimato che la spesa sarebbe di 1,5 milioni di euro all’anno; probabilmente, basterebbe qualche centinaio di migliaio di euro in più per coprire anche la spesa derivante dalla corretta valutazione dell’immobile dei malati non autosufficienti.
Si tratta di cifre esigue – non ci spingiamo a dire “ridicole”, ma riportiamo l’esternazione di un funzionario comunale competente che le ha qualificate come “l’importo di un singolo ribasso d’asta” – rispetto non solo al complessivo del bilancio comunale torinese, che pareggia oltre i 4 miliardi, ma anche alle spese ordinarie e, come nel caso dell’ Eurovision song contest, straordinarie che il Comune affronta.
Equità prêt-à-porter. Si capisce quindi che la questione è in piccola parte economica (non è vero che “non ci sono i soldi”) e in gran parte politica. Lo ha confermato lo stesso assessore alle Politiche sociali del Comune di Torino, Jacopo Rosatelli (Sinistra ecologista), di fronte alla quarta commissione del Consiglio Comunale: “Torino applica il suo regolamento”, in contrasto con l’Isee, “perché ritiene che così sia equo il conteggio della condizione economica di persone con disabilità e dei malati non autosufficienti”.
A fronte di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (159/2013, che ha definito l’Isee come Livello essenziale delle prestazioni, stabilendone le regole di conteggio), di tre sentenze del Consiglio di Stato che hanno confermato il divieto di conteggiare nell’Isee indennità di accompagnamento e pensione di invalidità (838, 841 e 842/2016), di una legge (89/2016) che imponeva agli Enti locali di modificare i loro regolamenti entro 6 mesi nel rispetto delle norme nazionali, l’assessore giustifica la violazione delle norme appellandosi all'”equità”.
Non c’è bisogno di specializzazioni accademiche giuridiche – di cui peraltro l’assessore Rosatelli è fornito – per capire che si tratta del sovvertimento di ogni ordine costituito in materia di leggi, dello svilimento della legalità, del trionfo della discrezionalità.
Diritto e resistenza. L’Utim, Unione per la tutela delle persone con disabilità intellettiva – le cui iniziative sono condivise dalla rivista Prospettive – ha intrapreso una battaglia per la corretta applicazione dell’Isee che prevede sia azioni di tutela generale, sensibilizzazione dell’opinione pubblica, campagne di informazione, pressione sulla amministrazioni, sia azioni di resistenza e supporto individuale alle pratiche di resistenza delle persone con disabilità e le loro famiglie che mensilmente si vedono addebitare importi che non sono legittimi e rifiutano di pagare chiedendo l’applicazione della normativa nazionale.
Oltre alla consulenza legale e alla predisposizione di comnicazioni e repliche agli enti, l’attività dell’Utim si concretizza in puntuali risposte e segnalazioni alle Istituzioni delle minacce che i gestori dei servizi rivolgono alle famiglie che chiedono legalità. Da quelle di trasferimento forzoso dei ricoverati – non solo illegittime in quanto non sono le singole strutture a decidere del luogo di ricovero, ma anche odiose perchè spaventano i famigliari – alle accuse di arricchimento (!) e di irriconoscenza.
Sostenere la battaglia di queste famiglie resistenti e ampliare i loro numero per arrivare a soglie critiche significative è a nostro avviso una delle più alte espressioni di testimonianza della legalità e di promozione dei diritti di coloro che non possono difendersi da sè.
Mentre dagli onerosi palchi cittadini si leva un coro entusiastico a senso unico, c’è bisogno che le famiglie delle persone con disabilità e le associazioni che dicono i rappresentarle e difenderle facciano valere la loro richiesta di giustizia, dicendo che no, non tutto è “uno spettacolo!” (slogan torinese dell’Eurovision) e che la loro voce conta.