Perchè va fermata la legge sulla non autosufficienza

Il precoce scioglimento delle Camere lo scorso 21 luglio potrebbe aver rallentato – probabilmente fermato per tutta la campagna elettorale e fino alla formazione del nuovo Governo – l’iter della bozza di legge delega sulla non autosufficienza. A dispetto della narrazione imperante, è una buona notizia: il provvedimento discriminerebbe milioni di italiani malati, sottraendo loro diritti esigibili in campo sanitario ed emarginandoli rispetto agli altri malati.

La rivista “Prospettive” ha commentato nel dettaglio il testo della bozza, dando ampio spazio alla proposta del Csa – Coordinamento sanità e assistenza tra i movimenti di base e della Fondazione promozione sociale sugli interventi, mirati, che consentirebbero il riconoscimento concreto del già vigente diritto alla presa in carico dei malati/persone con grave disabilità non autosufficienti da parte del Servizio sanitario nazionale, per la risposta alle loro complesse e durature (24 ore su 24) esigenze di tutela della salute. Rendiamo qui disponibile l’articolo completo.

La rivista “Prospettive” sposa in merito al nefasto testo all’esame del Governo la posizione della Fondazione promozione sociale e del Csa – Coordinamento sanità e assistenza tra i movimenti di base, che hanno scritto al esecutivo uscente e a tutte le forze politiche candidate alle prossime, vicinissime elezioni per fermare l’iter della proposta di legge e, invece, chiedere loro un impegno concreto nell’approvazione di pochi, mirati strumenti per riconoscere e garantire il diritto universalistico ed esigibile alle cure per i non autosufficienti, in risposta alle loro reali e indifferibili esigenze.

«Vi trasmettiamo il nostro allarme – hanno scritto le organizzazioni del volontariato dei diritti – per le proposte di legge all’esame della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il documento proposto dall’organizzazione “Patto per la non autosufficienza”, raggruppamento che comprende i sindacati, i gestori di strutture e servizi socio-sanitari e varie associazioni, in quanto non garantiscono la presa in carico del Servizio sanitario nel momento in cui, superata la fase acuta della malattia, i malati cronici non autosufficienti, specie anziani, hanno la necessità di cure a lungo termine (le cosiddette ‘long term care’) in regime di continuità terapeutica, come stabilisce la legge 833/1978, fondativa del nostro Servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico».

La bozza nasce dal lavoro dei cosiddetti «esperti» in questi ultimi tre anni: da monsignor Paglia (presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ente dello Stato del Vaticano) all’ex ministro Livia Turco, dal docente universitario Cristiano Gori al ministro Andrea Orlando (molto meno, ed è grave, considerato che si tratta di malati, il titolare delle deleghe alla sanità, Roberto Speranza). Tutte le loro proposte sono accomunate da un dato di fondo: la discriminazione in base all’età e alla condizione di salute a danno dei malati non autosufficienti, specialmente se anziani. È l’ageismo dei liquidatori del Servizio sanitario nazionale, che infatti teorizzano la completa espulsione dei malati cronici non autosufficienti dalla sanità, addirittura – i più estremsti – accompagnato dall’istituzione di un Servizio nazionale di assistenza anziani, contenitore/ghetto per gli emarginati espulsi dalla sanità dei “meritevoli” di essere curati.

« È sbagliato e fuorviante – fanno notare le associazioni del Csa – quanto fa la bozza di legge: accomunare anziani malati cronici non autosufficienti con esigenze di prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e di tutela personale 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno, con anziani che hanno problemi di limitata autonomia economica, abitativa, di mobilità sociale, di rete familiare. Tutte le proposte finora giunte ai ministri prospettano interventi di carattere domiciliare, semiresidenziale e residenziale nell’ambito delle politiche sociali ed escludono totalmente ogni richiamo alla competenza del Servizio sanitario, se non per la parte già oggi normata dai Lea con il dpcm del 12 gennaio 2017», che non basta perchè si limita alle scarsissime prestazioni professionali dell’Adi. Mentre è necessario che il Servizio sanitario (e non quello sociale) riconosca le attività di «aiuto infermieristico e assistenza tutelare alla persona», com’erano definite nei Lea del 2001, come attività indifferibili, necessarie al malato/persona con grave disabilità non autosufficiente per la tutela della sua salute.

L’articolo spiega bene come queste possono essere riconosciute con un assegno di cura non vincolato all’Isee o alla condizione economica del malato/persona con disabilità e della sua famiglia. Con triplo vantaggio: consentire cure domiciliari soddisfacenti in alternativa ai ricoveri; usare meglio le risorse del Servizio sanitario e, a parità di spesa, prendere in carico più persone; concentrare la presa in carico dei malati non autosufficienti in un unico centro decisionale (con tutte le professionalità per farlo, dal medico all’assistente sociale) e di costo: le Aziende sanitarie, tenute a garantire l’universalistico diritto alla tutela della salute di tutti i cittadini, senza distinzioni di accesso alle prestazioni.


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