Viviamo più e meglio. Grazie alla sanità pubblica

di Andrea Ciattaglia e Giulio Fornero

Nel Rapporto “Health at a Glance 2017”, dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), il capitolo “Cosa ha guidato i guadagni dell’aspettativa di vita negli ultimi decenni? Una analisi transnazionale degli stati membri dell’OCSE”, ci ricorda che l’aspettativa di vita è aumentata costantemente nella maggior parte dei paesi OCSE di oltre dieci anni in media dal 1970, mentre i tassi di mortalità per le principali cause di morte, le malattie cardiovascolari e il cancro, sono generalmente scesi. L’analisi si basa sui dati a livello di Paese per il periodo 1995-2015 e copre tutti i 35 Stati membri dell’Organizzazione.

I servizi sanitari pubblici organizzati sono il determinante di salute più importante per l’incremento dell’aspettativa di vita.

Più servizio sanitario = più salute. Il dato fondamentale emerso dalla ricerca, confermato dalla successiva indagine 2019, è che i servizi sanitari pubblici organizzati – non in generale la sanità, comprensiva di una larga fetta di spesa sanitaria privata out-of-pocket (la spesa sanitaria sostenuta direttamente, di tasca propria, dalle persone o dalle famiglie per ricoveri, visite, esami, farmaci, prestazioni ambulatoriali, cure domiciliari, ecc.) – sono il determinante di salute in assoluto più importante per l’incremento dell’aspettativa di vita. Più ancora del pur decisivo miglioramento delle condizioni socioeconomiche,  dell’accesso all’istruzione primaria e dell’adozione di stili di vita più sani.

Conferme 2019. Secondo il Rapporto “Health at a Glance 2019”, molti fattori al di fuori del sistema sanitario influenzano lo stato di salute, in particolare il reddito, l’educazione, l’ambiente fisico in cui un individuo vive e il grado in cui le persone adottano stili di vita sani. Il contesto demografico, economico e sociale influenza anche la domanda e l’offerta di servizi sanitari e, in definitiva, lo stato di salute.

Allo stesso tempo, le prestazioni di un sistema sanitario hanno un forte impatto sulla salute di una popolazione. Quando i servizi sanitari sono di alta qualità e accessibili a tutti, i risultati sulla salute delle persone sono migliori. Il raggiungimento di obiettivi di accesso e qualità e, in definitiva, di migliori risultati sulla salute, dipende direttamente da una spesa sufficiente per la tutela della salute. Con la spesa sanitaria si pagano gli operatori sanitari per fornire le cure necessarie, nonché i beni e i servizi necessari per prevenire e curare le malattie [1].

I tagli italiani. Le considerazioni dell’OCSE vanno contestualizzate nel panorama italiano degli ultimi vent’anni, caratterizzato da una diminuzione drastica dei servizi sanitari. Vent’anni fa la sanità italiana poteva contare sul 30% in più di servizi ospedalieri. Tagli, riduzioni di personale, chiusure di strutture, carente sistema parallelo di cure territoriali e domiciliari, sempre più spinte esternalizzazioni di servizi ai privati sono stati una costante nella gestione del comparto sanitario pubblico dal 2000 in poi. Le cifre dell’Annuario del Servizio sanitario al Ministero della Salute così fotografano la situazione: nel 2007 l’Italia contava 1.197 strutture ospedaliere, nel 2017 (ultimo dato disponibile) sono scese a 1.000, quasi 200 ospedali in meno, il 16%. Si veniva da un decennio di tagli simili: tra il 2000 e il 2009 vennero tagliati il 15% dei posti ospedalieri, soprattutto nel settore pubblico. Se è vero che i dati sull’ospedalità riguardano solo una parte della sanità, è pur vero che essi sono significativi perché «il riordino dell’assistenza ospedaliera ha preceduto, anziché seguire, la qualificazione dell’assistenza distrettuale»[1].

In Piemonte, negli ultimi dieci anni, la sanità pubblica  ha perso il 7% degli addetti, registrando poco più di 55 mila dipendenti alla fine del 2017, 4mila in meno rispetto al 2009. I dati dell’Istituto di ricerche economiche e sociali (Ires), ottenuti elaborando i numeri del Ministero dell’Economia e delle Finanze, certificano che, nel giro di un decennio,  il taglio piemontese è stato in linea con la media italiana, ma ben più consistente rispetto a Lombardia, Veneto, Emilia Romagna.

Regione Piemonte: Corte dei Conti, Senato, Ordine dei Medici e associazioni hanno contestato le motivazioni del Piano di rientro.

Hanno inciso particolarmente i vincoli imposti dal Piano di rientro per debito eccessivo a cui è stata sottoposta la Regione Piemonte dal 2010 al 2017. Dal Senato alla Corte dei Conti, dalle Associazioni di rappresentanza dei malati (Fondazione promozione sociale, Csa) fino ai Sindacati medici (Anaao) e allo stesso Ordine dei Medici le motivazioni del Piano di rientro sono state, seppure da una minoranza di attori, duramente contestate: «4 miliardi di euro di spese assegnate alla sanità non sono state spese negli anni passati per quel comparto», hanno detto a più riprese gli osservatori più attenti scorrendo le relazioni della magistratura contabile, concludendo che non era la Sanità ad essere in rosso, ma altri settori regionali [2].

La scelta dei tagli è però stata compiuta e ha sacrificato il personale con funzioni amministrative (-13%), i medici (-6%), infermieri e tecnici (-4%) e ha inciso complessivamente sulle prestazioni per i malati, in particolare i cronici non autosufficienti.

Quali cure a casa? Molte persone malate non autosufficienti che necessitano di cure Long term care (cure sanitarie di lungo periodo, LTC) desiderano rimanere nelle loro case il più a lungo possibile. In risposta a queste preferenze e agli elevati costi delle LTC basate sulle strutture di assistenza, molti paesi dell’OCSE hanno sviluppato servizi per supportare l’assistenza domiciliare per gli anziani. Secondo un rapporto Eurostat 2018, quanto all’uso di assistenza professionale a domicilio rispetto al fabbisogno, il dato dell’Italia è del 20,4%, cioè del 40% inferiore alla media europea

Secondo la ricerca OCSE, nel 2017 c’erano 47 posti letto (p.l.) per 1.000 persone di età pari o superiore a 65 anni nei paesi aderenti all’organizzazione. La stragrande maggioranza dei p.l. – 44 per 1.000 persone di età pari o superiore a 65 anni – erano situati in strutture LTC, con solo 3 p.l. LTC per 1.000 persone negli ospedali. Il numero di p.l. LTC per 1.000 persone di età pari o superiore a 65 anni varia enormemente tra i paesi OCSE. Cinque paesi – Italia, Lettonia, Polonia, Turchia e Grecia – avevano meno di 20 p.l. per 1.000 adulti di età pari o superiore a 65 anni. Quattro – Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio e Svezia – avevano più di 70 p.l. per 1.000 adulti di età pari o superiore a 65 anni.

Il dato estremamente disomogeneo è, molto probabilmente, frutto dei diversi sistemi sanitari nazionali. Non va dimenticato che la ricerca OCSE aggrega dati riferiti a sistemi sanitari universalistici pubblici (come quello italiano[1]), oppure sistemi sanitari fondati sulle assicurazioni/mutue private come quello tedesco, o ancora su una copertura sanitaria estremamente diseguale e selettiva come quella statunitense.

La stessa accortezza va utilizzata nel leggere le raccomandazioni OCSE sulle cure domiciliari che, sostanzialmente, indicano all’Italia la via dell’aumento di tali prestazioni, seguendo il modello di altri paesi europei.  Se per il rapporto non c’è dubbio che «la spesa dei sistemi sanitari è stata il principale fattore che ha contribuito all’aumento dell’aspettativa di vita negli ultimi due decenni», va anche considerato che le cure domiciliari, comprese quelle di Long term care destinate alla presa in carico di pazienti cronici non autosufficienti, devono rientrare appieno in questo sistema.

La strada è già stata tracciata in Italia da alcuni esperimenti territoriali, (es. legge 10/2010 della Regione Piemonte) cui purtroppo non sono seguite sinora stabilità, replicabilità e continuità nel tempo. Tali esperienze consentono un utilizzo più razionale e molto meno dispendioso di risorse pubbliche, riconoscendo che sono parte della cura domiciliare, e quindi di competenza gestionale e di finanziamento del settore sanitario, sia le prestazioni dei medici (di medicina generale o specialistici) o dell’infermiere, sia le prestazioni  indicate già nei Lea del 2001  come «aiuto infermieristico e assistenza tutelare alla persona» rivolte al malato non autosufficiente e assicurate 24 ore su 24 e 365 giorni all’anno, direttamente dal famigliare o con l’aiuto di una persona di fiducia qualificata.

Cure domiciliari per malati non autosufficienti:
«Il Ssngarantisce la presa in carico della persona (…) attraverso l’attivazione delle risorse disponibili, formali e informali».

Anche i LEA del 2017 confermano che, rispetto ai percorsi assistenziali integrati, il Servizio Sanitario Nazionale garantisce la presa in carico della persona, «privilegiando gli interventi che favoriscono la permanenza delle persone assistite al proprio domicilio, attraverso l’attivazione delle risorse disponibili, formali e informali».

La strada qui indicata di presa in carico domiciliare appare quindi la più efficace per rispondere all’allerta OCSE e per qualificare e implementare l’offerta del Servizio Sanitario sia nella prevenzione dei rischi pandemici, sia in prospettiva di lungo periodo.


[1] Va sempre ricordato che dal 2001, con i Lea – Livelli essenziali di assistenza (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001, articolo 54 della legge 289/2002), e ancora di più dal 2017 con la revisione complessiva dei Lea (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 gennaio 2017), l’accesso alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie è stato vincolato per i malati non autosufficienti a criteri non sanitari e sottoposto a pagamento di una percentuale rilevante del costo a carico dell’utente. Cfr. l’editoriale “Nuovi Lea: la più grande controriforma della sanità italiana (a danno dei malati)”, Prospettive assistenziali 204, 2018.

[1] N. Dirindin, La Sanità italiana tra crisi ed eccellenza, Il Mulino – Rivista bimestrale di cultura e di politica 3/20, numero 509, pp. 408-414.

[2] G. Cavallero, R. Zerbi, La Sanità piemontese da dieci anni è in credito – L’amara storia del Piano di rientro, in Torino Medica 1/201, pp. 36-39.